Pranzare durante una calda giornata estiva

Il caldo che sta caratterizzando queste giornate estive ci costringe a cercare tutti quegli elementi che ci permettono di “sopravvivere” nel migliore dei modi; per fare questo è necessario alimentarsi in modo tale da garantire al nostro organismo tutti i nutrienti necessari a mantenere il benessere del nostro corpo.

Cosa possiamo mangiare a pranzo? Come equilibrare i nutrienti? Quali alimenti scegliere?

La calura di questi giorni ci porterebbe a consumare solo frutta o gelato durante il pasto. Questi prodotti (soprattutto il gelato) hanno un alto carico glicemico, e grandi quantità comportano un rapido innalzamento del picco dell’insulina; in pratica dopo un’ora vi prenderà sonnolenza e avrete ancora fame!

Per contrastare questo fenomeno è allora consigliabile consumare un pasto sano e ben bilanciato che contenga carboidrati, ma anche grassi (soprattutto “buoni”), proteine ed altri elementi essenziali.

L’insalata

Un bel piatto di insalata consumato prima di qualunque pietanza rappresenta la strategia migliore per contrastare immediatamente il senso di fame; inoltre andiamo subito a “riempire” il nostro stomaco aumentando i tempi di svotamento gastrico e quindi ritardando il momento in cui avremo nuovamente fame.

In questo caso vediamo della misticanza a cui sono state aggiunte le giuste quantità d’olio extra-vergine d’oliva, alcune noci (ricche di grassi mono e poli-insaturi) e dell’erba cipollina per conferire ancora più sapore alla nostra pietanza.

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Il piatto di pasta

Un piatto di spaghetti con pomodoro fresco (pesati nelle giuste quantità) rappresentano una pietanza fresca, gustosa e facilmente digeribile. Sono stati scelti gli spaghetti per il basso indice glicemico, che rimane tale quando questi vengono consumati “al dente”.  E’ consigliabile aggiungere del formaggio (in questo caso grana o parmigiano) per garantire anche il giusto apporto proteico e di calcio; non sono da escludere la ricotta o altri formaggi freschi (attenzione alle intolleranze)

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Acqua

Il nostro pasto sarà accompagnato da qualche bicchiere d’acqua; la quantità maggiore (preferibilmente tra gli 1,5/2 l) dovrà essere consumata durante l’arco della giornata.

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Frutta

La frutta è consigliabile consumarla lontano dai pasti, magari a merenda o durante lo spuntino di metà mattinata. Personalmente non posso fare a meno del cocomero che, essendo ricco di acqua e povero di fibra, favorisce l’idratazione corporea. Inoltre il colore rosso indica la presenza del licopene (elemento presente anche nei pomodori), un antiossidante che ci preserva dai danni provocati dai radicali liberi.

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A cura di

Dr. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista

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Pesca, sugarello e pesce fresco.

Una caldissima domenica di Luglio……partenza alle 6.30 in gommone per andare a pescare in prossimità di Cerboli, una piccolissima isola che si trova all’interno dell’Arcipelago Toscano.

Isolotto di Cerboli

Isolotto di Cerboli

Non sono un pescatore, ma in questa circostanza accompagno alcuni amici, “provando” a pescare qualcosa. Nonostante l’attrezzatura e l’accurata selezione di esche, purtroppo la pesca si rivela veramente magra. I miei compagni di viaggio mi rivelano che la corrente non è delle migliori, e che l’ecoscandaglio non rivela la presenza di pesce anche a profondità di 50 metri. Mi hanno spiegato che in queste zone viene praticata la pesca intensiva e per questo motivo non si riesce a pescare più come 10-20 anni fa. Si lamentano della “pesca a strascico”, una pesca che viene effettuata con reti che dragano tutti i fondali e porta via qualsiasi specie ittica che trovano sul proprio percorso. In pratica una pesca che non seleziona, ma “saccheggia” tutto quello che l’ecosistema marino ha creato in moltissimi anni. Per questo motivo in queste zone la presenza di pesce è sempre più limitata ed occorreranno moltissimi anni perché si riformi l’ecosistema con tutti i suoi componenti.

Tra i pochi pesci pescati mi è capitato di imbattermi nel sugarello (o suro) una specie che fa parte del pesce azzurro. Visto che questo era sicuramente fresco ho preso un esemplare come modello, cercando di mostrare quale sono le caratteristiche che permettono di determinare il pesce fresco.

Il sugarello (o suro)

Trachurus trachurus è una specie appartenente alla famiglia dei Carangidae. Distribuito in tutto il Mediterraneo e nell’Atlantico orientale dall’Islanda fino al Sud Africa.

Sugarello

Trachurus trachurus

Il sugarello presenta un corpo lungo e slanciato ed è di colore grigio o verde-bluastro sul dorso, argenteo sul ventre e può raggiungere una lunghezza di circa 40 cm.

È un pesce pelagico, gregario e vive in folti branchi che si spostano alla ricerca di cibo e si avvicina alla costa dalla primavera all’autunno per la riproduzione. Si riunisce in grandi banchi nelle acque costiere, dove si nutre di crostacei, cefalopodi e degli avannotti di sardine e acciughe. I giovani si riuniscono in branchi sotto l’ombrello di grosse meduse (soprattutto delle specie Rhizostoma pulmo e Cothylorhiza tuberculata) trovando riparo e protezione senza alcun pericolo in quanto immuni dal veleno delle sue nematocisti.

E’ una specie di pesce a ciclo vitale breve e questo garantisce un bioaccumulo di metalli pesanti inferiore rispetto ai predatori di grossa taglia (tonno, spada etc.). Questa specie non proviene mai dall’allevamento e per questo motivo ha un’alimentazione che garantisce un buon apporto di acidi grassi omega 3.

Come facciamo a riconoscere se è fresco?

Avendo a disposizione un esemplare di questo pesce appena pescato ho voluto evidenziare le caratteristiche che ci permettono di valutare la freschezza di qualsiasi pesce seguendo le linee guida indicate dallo schema Artioli-Ciani.

  • Rigidità cadaverica

Il pesce fresco deve presentare rigidità cadaverica in seguito al rigor mortis. Questa scompare con l’andare del tempo, a causa della denaturazione delle proteine muscolari causate dai batteri decompositori.

Rigidità Cadaverica

Rigidità Cadaverica

Preso l’esemplare in esame per la parte caudale, si osserva come questo rimanga rigido senza inarcarsi verso il basso.

  • Occhio

Deve essere limpido, lucido e convesso. Importante per la valutazione è l’aspetto della cornea; la perdita della convessità, infatti, si manifesta nel pesce non più fresco, anche se bisogna precisare che questa caratteristica può dipendere anche dal sistema di pesca e di conservazione. Tale fenomeno è maggiormente evidente nei pesci di grossa taglia.

Occhio limpido, lucido e convesso.

Occhio limpido, lucido e convesso.

  • Valutazione della cute

Deve essere tesa, brillante, con le squame aderenti al corpo. Il pesce non è fresco quando questa appare flaccida, opaca o smorta.  L’immagine mostra i colori tipici del sugarello con i riflessi verdi-bluastri tipici che contraddistinguono questa specie.

Il colore con riflessi azzurro-verdastri.

Il colore con riflessi azzurro-verdastri.

  • Branchie

Il pesce fresco deve avere le branchie di un rosso brillante/bordeaux e ricoperte da un sottile strato di muco. Quando iniziano a scurirsi o a diventare marroni è segno che il pesce ha iniziato a deteriorarsi. Per verificare questa condizione si aprono le branchie e si controlla la consistenza (devono essere belle attaccate al corpo) e la colorazione.

Branchie rosso brillante.

Branchie rosso brillante.

  • Consistenza

Se il pesce non è deteriorato la consistenza delle carni e dei muscoli deve essere soda ed elastica. Premendo con un dito a metà del corpo, non deve rimanere l’impronta. Sul pesce fresco se premiamo con decisione sul corpo dell’animale, l’impronta non rimane.

Consistenza soda ed elastica.

Consistenza soda ed elastica.

Provando ad aprire la bocca si nota come i muscoli facciano resistenza all’apertura; anche questa è una caratteristica che indica freschezza del prodotto.

I muscoli della bocca sono resistenti all'apertura.

I muscoli della bocca sono resistenti all’apertura.

  • Odore

I pesci d’acqua salata quando freschi, profumano di mare o di iodio. Se si percepiscono odori sgradevoli dovuti ad ammoniaca, acidi grassi volatili o aldeidi il pesce non è sicuramente fresco.

Fonti:

1) Per la determinazione della specie:

http://www.repertorioittico.it/

2) Per la determinazione delle caratteristiche di freschezza:

ARTIOLI D., CIANI G. (1954). Su uno schema razionale degli esami organolettici per la determinazione dello stato di freschezza del pesce (teleostei marini). Riv. Med. Vet. Zootec., 6: 419-424.

Autore:

Dr. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista.

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mail: simonerizzuto.nut@gmail.com

Olio di palma: il grasso saturo nascosto.

Caratteristiche dell’olio di palma

L’olio di palma è un olio vegetale commestibile ricavato dalla polpa dei frutti di palma, di consistenza solida a temperatura ambiente. In Europa è solitamente venduto e consumato nella sua forma raffinata, ossia dopo esser stato sbiancato e deodorato.  L’olio di palma grezzo ha un colore rosso dovuto all’alto contenuto di carotenoidi, ma la maggior parte di questi viene persa dopo il processo di raffinazione.
Nell’olio grezzo si trovano vitamina E, fitosteroli e composti fenolici, ma la maggior parte di questi viene persa in seguito al processo di raffinazione.

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Circa l’80% dell’olio di palma prodotto viene utilizzato nell’industria alimentare e si ritrova  in molti prodotti alimentari e prevalentemente come grasso utilizzati nella preparazione di dolci e biscotti a livello industriale, ma anche nelle creme da spalmare, nelle barrette di cioccolata, negli snack salati ed in numerosi piatti pronti.
L’olio di palma viene utilizzato per il gusto, la stabilità termica, la resistenza all’ossidazione, la consistenza e la morbidezza. Non ci sono altri grassi vegetali che siano naturalmente solidi a temperatura ambiente e che forniscano le stesse caratteristiche in quantità sufficiente. I produttori lo prediligono al burro perché è più economico.

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L’olio di palma diviene dannoso se consumato in quantità importanti. Infatti gli acidi grassi contenuti all’interno di questo olio vegetale possono aumentare l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Per fare un paragone, l’olio di palma contiene 5 volte più acidi grassi saturi rispetto all’olio di colza. La quantità giornaliera raccomandata si aggira sui 20 g al giorno

Confronto tra olio di palma e burro

Il contenuto degli acidi grassi saturi di burro ed olio di palma è pressoché identico. Si ritiene però che il burro sia un alimento di qualità superiore rispetto all’olio di palma per il processo di raffinazione che subisce il secondo. Durante il processo di raffinazione l’olio di palma perde gran parte dei micronutrienti, mentre il burro contiene una buona quantità di vitamina A.

 

Olio di palma e salute

L’olio di palma contiene 50% di grassi saturi, una percentuale buona rispetto al contenuto di altri grassi di simile applicazione: cocco (92%), semi di palma (84%), burro (66%), burro di cacao (62%) e sego (54%).

Gli studi epidemiologici Europei dimostrerebbero che consumiamo troppi grassi provenienti prevalentemente da carne, salumeria e prodotti lattiero-caseari, confermando un consumo superiore a quello consigliato dalle linee guida internazionali. Un uso massivo dell’olio di palma all’interno dei prodotti confezionati può aggravare sicuramente questa situazione e conseguentemente lo stato di salute della popolazione. Infatti un elevato sovraccarico di grassi può essere un fattore di rischio per l’obesità infantile, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa e del diabete per poi aggravarsi in malattie cardiovascolari sotto forma di infarto al miocardio o ictus. In particolare nell’olio di palma abbonda l’acido palmitico, a cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità attribuiscono un effetto aterogeno ed ipercolesterolemizzante, che incide negativamente sul rischio cardiovascolare.

Olio di palma ed etichettatura

Al momento molti prodotti alimentari non menzionano in etichetta l’olio di palma. Da dicembre 2014, la normativa europea (Regolamento (UE) n.1169/2011) obbligherà l’indicazione in etichetta di tutti i singoli oli presenti nell’alimento.

Sostenibilità

L’olio di palma è coltivato esclusivamente in regioni tropicali umide. Oggi la maggior parte della produzione proviene da due paesi: l’Indonesia e la Malesia. Questi due rappresentano insieme l’87% della fornitura mondiale. Purtroppo spesso viene coltivato tramite coltivazioni intensive dannose per l’ambiente. Infatti queste monocolture causano la distruzione pressoché totale della biodiversità delle specie presenti in questi paesi del sud-est asiatico. E’ da considerare però come le piantagioni di palmeti rappresentino una fonte primaria per i paesi in via di sviluppo e quindi risulta difficile contrastare l’espansione di queste monocolture.

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Per cercare di emarginare la problematica della distruzione della foresta tropicale è stato istituito il certificato della Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile(RSPO). Questo è un marchio di qualità che attesta che l’olio di palma è stato prodotto senza danno eccessivo per l’ambiente o la società e ne assicura la tracciabilità attraverso la catena di distribuzione. I coltivatori devono rispettare i principi e i criteri stabiliti dal RSPO che riguardano sia i diritti dei precedenti proprietari terrieri, le comunità locali, i lavoratori e piccoli agricoltori, sia la garanzia che nessuna nuova foresta primaria o area ad alto valore di conservazione sia stata eliminata per far posto alla produzione di olio di palma dal novembre 2005.

Raccomandazioni generali

1) Cercare di consumare non più di 1 g di grassi per chilo di peso corporeo

2) Consumare non più di 20 g di grassi saturi

3) Consumare da 20 a 30 g di grassi monoinsaturi

4) Consumare almeno 20 g di grassi poli-insaturi con rapporto omega 6:omega 3 pari a 4:1

5) Prediligere gli oli vegetali, in particolare l’olio di oliva

6) Consumare una porzione (circa 20 g) di frutta secca non salata

7) Evitare cibi confezionati che contengono olio di palma o oli vegetali idrogenati.

Raccomandazioni indicate per limitare il consumo di olio di palma                    

L’indicazione “olio vegetale”, legalmente autorizzata sulle etichette, può nascondere la presenza di olio di palma. Se osserviamo le etichette della maggior parte dei prodotti confezionati vediamo che quest’olio è diffusissimo nelle ricette dei prodotti lavorati e quindi diventa molto difficile ridurre il consumo di grassi saturi.

Ecco alcune regole che potrebbero servire a limitarne l’assunzione:

  • Evitare i prodotti che indicano sull’etichetta solo “olio vegetale” o “grasso vegetale”
  • Preferire i prodotti non lavorare e preferibilmente prepararsi in casa dolci, biscotti e altri prodotti da forno.
  • Quando si mangia fuori casa preferire alimenti con grassi di buona qualità
  • Prediligere i prodotti che contengono olio di palma certificato con produzione sostenibile RSPO.

Articolo realizzato da : Dott. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista

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La soia, il nutraceutico per eccellenza!

La soia

La soia (Glycine max.) è una pianta erbacea della famiglia delle leguminoseae originaria dell’Asia, ma coltivata in tutto l’estremo oriente, in Africa, in America ed in alcuni anni anche in Italia. La pianta è annuale, cresce in cespugli, con fusti erbacei angolosi e ramosi, foglie trilobate e dotate di un lungo peduncolo, di colore variabile tra il verde ed il giallo. Il frutto è un legume di forma arcuata, contenente 5 semi di dimensioni variabili e di forma rotonda o ovale, di colore nero, bruno o anche giallo-verdognolo dai quali si ottiene l’olio e la farina di soia. Grazie alle vistose nodosità presenti a livello delle radici capta l’azoto dell’aria, rappresentando una pianta ideale per le produzioni cerealicole.

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La leggenda

Secondo la tradizione cinese la soia fu creata da Hou Tsi, il dio della coltivazione agricola che fece in modo che la pianta crescesse solo una collina disabitata e non conosciuta all’uomo. Un giorno alcuni mercanti furono assaliti da dei banditi e per questo si rifugiarono su quella colina. Li rimasero per alcuni giorni e decisero di assaggiare i semi di una pianta che non avevano mai veduto. Questi mercanti, una volta tornati a casa, fecero conoscere a tutti la pianta a tutta la popolazione cinese.

La storia

La soia venne coltivata per la prima volta in Cina cinquemila anni fa. A quel tempo l’imperatore chiamò questo legume “Ta Teou” (grande fagiolo). Egli classificò la soia tra le cinque piante sacre, le altre erano il riso, il frumento, l’orzo e il miglio.

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Introdotta nel XVIII sec. in Francia e nel XIX in Italia, la prima “grande” esportazione di soia al di fuori della Cina avvenne nel 1804, quando un veliero americano che tornava negli Stati Uniti ne trasportò un carico come zavorra. La prima piantagione commerciale fu allestita nel 1929, e l’uso della soia si è enormemente diffuso dopo la seconda guerra mondiale.

Composizione bromatologica

Esistono circa 25 varietà di soia, ma la migliore è quella gialla perché ha il più alto contenuto di fitoestrogeni. I semi di soia presentano un buon quantitativo di proteine, vitamine e sali minerali.

La composizione bromatologica della soia è rappresentata per il 40 % da proteine e da un 30% da sostanze glucidiche (prevalentemente polisaccaridi). Il contenuto lipidico si avvicina al 20% della composizione totale ed è rappresentato prevalentemente da acido linoleico, oleico, linolenico e da lecitine.

Le proteine della soia hanno un alto valore biologico ed una composizione di amminoacidi ben bilanciata. Tale fattore differenzia questo legume da tutti gli altri vegetali e per questo ha un ruolo fondamentale nel regime dietetico dei popoli dell’Asia orientale che hanno una dieta notoriamente povera di carne.

Grazie al contenuto di macronutrienti e micronutrienti (calcio, ferro, magnesio e vitamine) ed ai fitoestrogeni la soia viene considerata un alimento funzionale naturale. Queste molecole appartengono alla categoria degli isoflavoni e sono la genisteina, la daidzeina e la gliciteina. Da un punto di vista chimico ricordano molto gli estrogeni, ovvero gli ormoni sessuali femminili. Proprio questa caratteristica consente loro di svolgere una funzione simile agli estrogeni umani e preservare alcuni tessuti dallo sviluppo di tumori

I prodotti della soia

 

Il tofu

E’ ottenuto per la precipitazione delle proteine del latte di soia e per questo assume la consistenza di un formaggio. Il caglio deve essere conservato in acqua fresca e tenuto in frigorifero per non più di 5 giorni, a meno che non venga confezionato sottovuoto.

Il tofu nelle sue varietà più molli (silken tofu) viene usato per condire l’insalata e arricchire le zuppe ed in quelle più solide (film tofu) può sostituire il formaggio nei sandwich.

E’ ricco di vitamine B1, B2, B3 ed di ferro e spesso viene arricchito di calcio a livello industriale.

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Il miso

 

Viene prodotto attraverso la fermentazione dei semi di soia con il fungo Aspergillus oryzae.

Viene usato per condire zuppe, insalate e per la preparazione di salse.

Contiene fitoestrogeni e molte vitamine del complesso B, batteri ed enzimi. Ha un elevato contenuto di sodio.

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Il tempeh

 

E’ originario dell’Indonesia e viene ottenuto per la fermentazione di semi di soia interi dopo la cottura. Vene commercializzato come alternativa alla carne ed ha un alto valore nutrizionale perché 50g di alimento sono pari a 150 Kcal tra cui 10 g di proteine

TVP (Textured vegetable protein)

 

E’ prodotto da un particolare tipo di lavorazione della farina di soia; viene venduto in granuli disidratati che, posti in ammollo, assumono una consistenza simile a quella degli hamburger. Sono ricchi di proteine e fibre.

Latte di soia

 

Si ottiene per la bollitura in acqua della soia e può essere un’alternativa al latte vaccino per chi ha un’intolleranza più o meno grave al lattosio. Contiene meno grassi e colesterolo rispetto a quello animale e rappresenta una buona fonte di proteine, ferro, tiamina e niacina. Spesso viene fortificato con il calcio.

Proprietà della soia

 

Come abbiamo detto precedentemente, la soia è una fonte alimentare di isoflavoni e fitoestrogeni. Grazie a queste molecole sembra che la soia abbia azione preventiva contro il tumore della prostata e al seno. Dalla letteratura si osservano molti studi che hanno evidenziato come i componenti della soia siano in grado di contrastare la proliferazione incontrollata delle cellule tumorali perché ridurrebbero i livelli degli ormoni sessuali. In questo modo le sostanze presenti nella soia sarebbero efficaci sia nella prevenzione verso il cancro alla prostata sia nel bloccare la successiva crescita e la formazione di metastasi. Questo  vale anche per il tumore alla mammella. E’ da segnalare come uno studio di recentissima pubblicazione, avrebbe evidenziato la capacità degli isoflavoni di rendere più efficace la radioterapia contro il cancro al polmone e, contemporaneamente, di proteggerlo dai danni della chemioterapia.

Un’altra proprietà associabile agli isoflavoni presenti nella soia è quella di protezione verso il  sistema cardiovascolare perchè ridurrebbero i livelli di colesterolo LDL. Secondo uno studio internazionale, che ha tenuto conto di ben 11 diversi lavori che indagavano le proprietà anti-colesterolo della soia, è emerso che un suo consumo costante è in grado di abbattere del 10-15% la quantità di colesterolo LDL (“colesterolo cattivo”) soprattutto negli individui che hanno una colesterolemia totale superiore a 240 mg/dl.

Possibili controindicazioni

 

L’utilizzo di latte di soia negli individui in via di sviluppo che sono intolleranti al latte vaccino potrebbe avere delle controindicazioni. Infatti si osserva come nei lattanti alimentati esclusivamente con latte di soia presentano una concentrazione ematica di isoflavoni 13000-22000 volte superiore a quella dell’estradiolo, un ormone implicato nello sviluppo sessuale dell’individuo. Questi composti potrebbero agire come “interferenti endocrini” e quindi interferire sullo sviluppo del giovane individuo.

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Inoltre la soia è sconsigliata nell’ipotiroidismo perché rallenterebbe l’attività della tiroide.

Concludendo possiamo affermare come la soia sia un alimento nutraceutico eccellente da poter abbinare ad una dieta sana e bilanciata come sostitutivo della carne o del pesce.

A cura di:

Dott. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista

mai: simonerizzuto84@hotmail.it

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Aglio…..non solo uno “scacciavampiri”!

Allium sativum L. è una pianta appartenente alla famiglia delle Liliaceae, erbacea, perenne ed alta fino a 50 cm. In cucina si utilizzano i bulbi essiccati che vengono utilizzati nella preparazione di numerose pietanze soprattutto legate alla tradizione contadina.

L’etimologia della parola allium sembra avere origine dalla parola celtica all, che significa “caldo, bruciante”, con riferimento ai poteri afrodisiaci attribuiti alla pianta

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Storia

I primi resti di aglio sono stati rinvenuti in alcune caverne preistoriche e sappiamo che i sumeri lo utilizzavano già 5000 anni fa.

Gli Egiziani contraccambiavano un giovane schiavo per 7 kg di aglio e si narra che durante la costruzione di una piramide, quando era venuta a mancare questo prezioso alimento, gli schiavi avrebbero dato vita al primo sciopero mai documentato.

Ai tempi dei Greci e dei Romani rappresentava il cibo degli atleti e dei soldati, perché si credeva sviluppasse forza ed aggressività. Le levatrici lo appendevano nelle sale parto per difendere i neonati da malattie e sortilegi.

Durante il Medioevo si attribuì all’aglio la proprietà di proteggere dal malocchio, dai morsi dei “vampiri” e da quelle malattie provocate dagli “spiriti maligni” (ovvero i disturbi psicologici).

Durante la prima guerra mondiale , quando i medici delle armate britanniche, francesi e russe trattavano le ferite dei soldati con del succo d’aglio attribuendo a questo un elevato potere disinfettante. Durante la seconda guerra mondiale fu utilizzato dai medici dell’Armata Rossa e per questo fu chiamato “penicillina russa”.

 

Composizione bromatologica

 

Proteine 9%
Lipidi 13%
Carboidrati 78%
Alcol 0%

 

La composizione dei minerali riguarda sodio (3 mg), potassio (600 mg), ferro, (1,5 mg), calcio (15 mg), fosforo (63 mg).

Oltre a oligoelementi e sali minerali, l’aglio contiene le vitamine A, B1, B2 e vitamina C. Le sue proprietà più importanti dipendono però da un’essenza solfurea presente nel bulbo, della quale il principio attivo è l’allicina che detiene un forte potere antisettico. I bulbi freschi di aglio contengono dallo 0,1 allo 0,4 di olio essenziale dove, oltre alle sostanze fin qui citate, sono presenti altri composti dello zolfo.

 

Proprietà dell’aglio
Sembra che l’aglio abbia la proprietà di donare alla pelle un aspetto sano e di favorire la crescita dei capelli; questo sarebbe dovuto alla presenza dell’acido fitinico, che da un lato lega le sostanze minerali e dall’altro può essere trasformato in inositolo, una sostanza simile alle vitamine in grado di favorire la crescita delle cellule del bulbo pilifero del capello.
L’aglio contiene anche alcaloidi ad azione insulino-simile che che sembra abbassino il livello di glicemia nel sangue: per questa ragione l’aglio è considerato un valido supporto nelle terapie contro il diabete ed in altre malattie legate al metabolismo degli zuccheri.
L’aglio rafforza il sistema immunitario agendo come potente battericida e come potentissimo vermicida,

L’aglio rappresenta un regolatore della pressione arteriosa agendo come vasodilatatore delle arteriole e dei capillari e di conseguenza riduce il rischio di sclerotizzazione delle arterie, previene la formazione di trombi, regolarizza il tasso di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
Una delle proprietà attribuita da sempre all’aglio è quella riguardante la sua caratteristica funzione antibiotica: è un valido antibiotico da utilizzare nei casi i cui la flora batterica intestinale sia stata alterata da cure precedenti che possono aver alterato il bioma intestinale. L’aglio si differenza dagli antibiotici di sintesi perché attacca la flora batterica saprofita e patogena, e favorisce il ripristino della normale flora batterica intestinale. .
L’aglio può essere utilizzato come rimedio contro meteorismo e crampi addominali, ed è utilissimo anche in caso di diarrea acuta o dissenteria..
Studi clinici riporterebbero l’azione dell’aglio anche nei confronti dell’Helycobacter pylori, il batterio in parte responsabile dell’ulcera gastrica e dello sviluppo di forme tumorali allo stomaco.
Un’altra proprietà dell’aglio è quella di proteggere dai pericolosi metalli pesanti, sostanze dannose che possono entrare nell’organismo attraverso il particolato atmosferico, otturazioni dentali di vecchia concezione (es. al piombo), da pesce, frutta ed ortaggi contaminati. I metalli pesanti vanno a colpire direttamente polmoni,  reni, fegato e sistema nervoso, con effetti che vanno dal sintomo immediato sino a manifestazioni patologiche dovute all’accumulo. L’aglio contrasta l’azione dei metalli comportandosi da chelante perché i composti solforati presenti tra le molecole dell’aglio si legano stabilmente alle molecole di mercurio, piombo e cadmio presenti nell’organismo, che in questo modo vengono escrete con facilità.

 

Molti sono gli integratori che vengono pensati con il fine di evitare l’odore dei composti tipici dovuti al consumo di aglio. L’aglio per mantenere inalterate le sue proprietà curative e per espletare i propri benefici sull’organismo umano, deve essere consumato crudo; se proprio siamo infastiditi dall’odore “caratteristico” possiamo ricorrere al rimedio sempre valido della “nonna” che consiste nel masticare lentamente due chicchi di caffè torrefatto.

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Dott. Simone Rizzuto Biologo Nutrizionista

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Funzioni e storia della Vitamina C

Vitamina C è il termine utilizzato per indicare un sistema ossidoriduttivo reversibile a forte azione antiossidante composto da acido ascorbico ed acido deidroascorbico

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La vitamina C svolge  importanti funzioni quali:

  • la biosintesi del collagene cioè la proteina più rappresentativa nel corpo umano e nei tessuti connettivi e costituisce il principale costituente fibroso di pelle, tendini, cartilagini, membrane, cornee e vasi di tutti i vasi
  • la sintesi della noradrenalina (neurotrasmettitore) a partire dalla dopamina e della serotonina, due neurotrasmettitori implicati in molte funzioni del sistema nervoso.
  • la sintesi della carinitina, essenziale per il trasferimento di acili (acidi grassi) nei mitocondri dove avviene la ß-ossidazione dei grassi (ovvero dove vengono “bruciati” nella cellula);
  • nell’elaborazione e nel rilascio di vari peptidi ormonali come la vasopressina, l’ossitocina, la colechistocina, l’ormone adrenocorticotropo (ACTH),
  • la biosintesi degli acidi biliari utili alla digestione dei grassi;
  • la regolazione dei livelli endogeni di istamina, molecola implicata nelle reazioni allergiche. La Vitamina C inibisce  il rilascio di questa molecola e ne favorisce la degradazione. Per questo si utilizza a scopo terapeutico nella sensibilizzazione per prevenire lo shock anafilattico.
  • la biosintesi degli ormoni steroidei della corteccia surrenale.
  • favorire l’assorbimento intestinale del ferro dagli alimenti.
  • la riduzione dell’efficienza  dell’assorbimento intestinale del rame
  • ridurre la tossicità di alcuni minerali (Ni, Pb, V, Cd, Se), che in forma ridotta vengono assorbiti più difficilmente o escreti più velocemente;
  • favorire l’utilizzazione del selenio a dosi fisiologiche, aumentandone la biodisponibilità di alcune sue forme organiche e inorganiche;
  • inibire la produzione di potenziali agenti cancerogeni come le nitrosammine a livello intestinale,
  • la riduzione degli ioni superossidi, dei radicali idrossilici, dell’acido ipocloroso e altri potenti ossidanti, proteggendo la struttura del DNA delle proteine e delle membrane dai danni che tali ossidanti potrebbero provocare;
  • la costituzione, insieme alla vitamina E, di un sistema di protezione contro il danno ossidativo provocato dai radicali liberi
  • la funzione immunitaria, infatti si è osservato sperimentalmente che la vitamina C è in grado di stimolare la produzione di mediatori e cellule che intervengono nella difesa immunitaria.

Alimenti che contengono la Vitamina C

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Alimento Contenuto Vitamina C (mg/100g)
Peperoncino 229
Peproncini rossi e gialli 166
Peperoni crudi 151
Peperoni verdi 127
Rughetta o rucola 110
Kiwi 85
Cavoletti di Bruxelles 81
Lattuga 59
Fragole 54
Clementine 54
Limoni 50
Arance 50
Succo di arancia 44
Succo di limone 43
Mandarini 42
Pompelmo 40
Fave fresche crude 33
Piselli freschi crudi 32
Piselli surgelati 30
Pomodori maturi 25
Pomodori San Marzano 24
Pomodori da insalata 21
Ananas 17
Finocchi crudi 12
Fegato 10
Cocomero 8

 

Storia della vitamina C

Lo scorbuto è una della malattie note sino dai tempi più antichi. Si trovano sue descrizioni nell’Antico Testamento e negli scritti di Plinio il Vecchio. La prima descrizione della patologia è del signore di Joinville nella sua narrazione della crociata di San Luigi in Egitto del XIII secolo.

Per secoli lo scorbuto è stata la principale causa di morte fra gli equipaggi delle navi a lungo corso.

I sintomi della malattia sono ben definiti: comincia con stanchezza e si manifesta in seguito con edemi alle braccia e alle gambe ed infine con emorragie diffuse fino al sanguinamento del naso e delle gengive. Incapaci di restare in piedi, i soggetti colpiti muoiono di sfinimento o per complicanze respiratorie infettive.

Nel Medioevo lo scorbuto si manifesta a livello endemico nei paesi del Nord Europa durante i mesi invernali, periodi in cui il consumo di ortaggi verdi è molto ridotto.

Nel 1535, nel corso del viaggio di Jaques Cartier a Terranova, parecchi marinai muoiono di scorbuto. Uno dei superstiti apprende che i pellirossa usano con successo un decotto agi aghi di pino e sperimentandolo su se stesso apprende che il beneficio apportato dal decotto è miracoloso.

Nel 1593 l’equipaggio di una nave inglese in rotta verso le Indie sfugge alla malattia poichè il capitano fa bere ogni giorno alcune gocce di succo di limone ai suoi marinai. Questa pratica viene istituzionalizzata dalla marina inglese dopo il notevole trattato sullo Scorbuto scritto nel 1753 da J. Lind, medico della marina britannica.

Nel 1907 si riesce a provocare lo scorbuto sperimentale in cavie che ricevono una dieta carente di verdura fresca.

Nel 1912 S. Zilva estrae dal limone un principio attivo contro lo scorbuto

Nel 1928 A. Szent-Györgi isola, durante i suoi studi sull’ossidazione cellulare, un prodotto, l’acido esauronico, che , quattro anni dopo si rivela identico alla vitamina C ottenuta partendo dal succo di limone da C. King.

La struttura esatta della vitamina C viene stabilita nel 1932 da N. Haworth che, con A. Szent-Györgi, propone di darle il nome di acido ascorbico. La sintesi viene realizzata da T. Reichstein e dalla sua equipe alcuni mesi più tardi

Per molto tempo si è pensato che l’unica funzione della vitamina C fosse quella di prevenire la carenza per la vitamina stessa. Ma nel 1970 il Prof. L. Pauling solleva una viva controversia nel mondo intero con il suo libro dal titolo La vitamina C e il raffreddore.

Linus_Pauling_1962

Dopo quella data, i lavori scientifici sulle diverse funzioni dell’acido ascorbico si moltiplicano: processi di ossidoriduzione a livello cellulare, intervento delle reazioni immunitarie, inibizione della formazione endogena delle nitrosammine, capacità di intrappolare i radicali liberi etc. Molti sono gli studi epidemiologici avviati nel tentare di precisare il ruolo profilattico della vitamina C nei confronti delle malattie legate all’invecchiamento: diminuzione del rischio di comparsa di certi tumori, relazione tra il livello ematico di vitamina e fattori di rischio cardiovascolari, contributo alla prevenzione della cataratta.

Tratto da: Le grusse J., Water B., Le vitamine, CEIV, Parigi 1997

 

Dott. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista

e-mail: simonerizzuto84@hotmail.it

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La dieta nell’ipotiroidismo: il ruolo fondamentale dello iodio.

L’origine dello iodio, dal suolo agli alimenti.

 

Lo iodio, dal greco iodes (violetto), è un elemento chimico diffuso nell’ambiente in diverse forme. Questo nutriente si ridistribuisce nella catena alimentare in seguito al suo ciclo geologico e poi biologico strettamente collegati tra di loro.

Lo iodio presente nelle rocce e nel suolo, per azione delle piogge e dell’erosione, è trasportato dalle acque superficiali nei mari e negli oceani. Quello contenuto nell’acqua dei mari evapora nella atmosfera e, con le piogge, ritorna sulla superficie terrestre. Quello presente nel mare si accumula nelle alghe, nei pesci e nei crostacei, mentre quello presente nei terreni viene assorbito dalle piante. A causa del dilavamento dei terreni, il contenuto di iodio nei suoli è diminuito progressivamente.

 

Lo iodio come micronutriente essenziale

 

Lo iodio è il costituente essenziale di 2 importanti ormoni tiroidei, la tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3). Un adeguato apporto alimentare di questo micronutriente è necessario per assicurare la normale crescita e lo sviluppo degli organismi animali e dell’uomo. La principale fonte naturale di iodio per l’uomo è rappresentata dagli alimenti. Il suo contenuto nelle diverse fonti alimentari è indicato dalla seguente tabella:

 

Alimento Contenuto di Iodio (μg/100g)
Pesci di mare 83 (16-138)
Pesci d’acqua dolce 3(2-4)
Crostacei 80(31-130)
Uova 9
Latte 5
Carne 5
Pollame
Cereali 5
Pane
Legumi 3
Vegetali 3
Frutta 2

 

Tra gli alimenti più ricchi di iodio abbiamo i pesci di mare e anche i crostacei. Anche le uova, il latte e la carne ne contengono quantità rilevanti. Per gli alimenti di origine vegetale il contenuto dipende dai livelli presenti nel terreno, mentre per quelle di origine animale dipende dalla loro alimentazione.

Come si osserva dalla tabella, il maggior contenuto di questo microelemento si ha nei pesci di mare, ma a causa del loro basso consumo nel nostro paese, non costituiscono la principale fonte dietetica che è invece rappresentata dai prodotti lattiero-caseari, uova, carne, cereali e derivati. In realtà lo iodio è presente in quantità sempre più esigue sia nelle acque e negli alimenti e questo fa si che il fabbisogno giornaliero per una normale attività della tiroide non venga soddisfatto.

In alcuni casi il sale iodato ha colmato alcuni deficit alimentari nelle popolazioni che vivevano in territori dove i terreni, e di inevitabilmente i loro frutti e le carni degli animali, che da essi traevano nutrimento, erano particolarmente poveri di questo minerale.

Anche l’acqua può rappresentare una minima fonte del minerale anche se quella più ricca è quella marina (50μg/l).

Le alghe marine contengono concentrazioni di iodio nettamente superiori alle fonti alimentari. Alcune alghe brune (kombu, Laminaria japonica e digitata) contengono quantità molto elevate di iodio fino a 100-1000 volte superiori ai pesci di mare. Questi prodotti, estranei alla dieta mediterranea, sono arrivati sulle nostre tavole grazie alla cucina giapponese.

La carenza di iodio ha effetti negativi sulla funzionalità della tiroide che si traducono in diversi fenomeni patologici. Uno degli effetti più evidenti causati dalla carenza nutrizionale è il gozzo tiroideo, ma conseguenze più gravi sono rappresentate da evidenti disturbi neurologici che possono derivare da un’insufficiente apporto nutrizionale di questo microelemento in età fetale e neonatale.

 

La ghiandola tiroide

 

 tiroide

La ghiandola tiroide è una piccola ghiandola che si trova nel collo sotto la laringe (pomo di Adamo). Essa produce principalmente la tiroxina, un ormone che controlla la quantità di energia utilizzata dal corpo per mantenere processi vitali quali la respirazione, la circolazione e la digestione. Inoltre gli ormoni tiroidei hanno la funzione di regolare il metabolismo in quanto modulano i processi mitocondriali ed il fatto di trascrizione HIF-1α, che controlla a sua volta il trasporto del glucosio e degli enzimi glicolitici.

 

 

Ipotiroidismo

 

L’ipotiroidismo è una sindrome che colpisce in media lo 0,5-1% della popolazione mondiale e riguarda prevalentemente quella di sesso femminile.

L’ipotiroidismo può essere determinato da uno sviluppo incompleto o dall’assenza congenita della tiroide, per una sua asportazione chirurgica o per l’assunzione di farmaci antitiroidei.

Più comunemente,  le varie forme vengono classificate in:

1) primarie o primitive dove rientrano quelle patologie correlate ad una ridotta funzionalità del tessuto tiroideo. Può essere causato da malattie autoimmunitarie della tiroide (es. tiroidite cronica di Hasimoto) oppure a gravi carenze di iodio nella dieta.

2) secondarie o terziarie quando le patologie sono a carico, rispettivamente, di ipofisi ed ipotalamo. In questo caso gli ormoni secreti dall’ipofisi sono incapaci di regolare adeguatamente l’attività della tiroide.

 

La carenza di vitamina A esercita molteplici effetti sul metabolismo della tiroide, sull’effetto periferico degli ormoni tiroidei e sulla produzione del TSH da parte dell’ipofisi. Il deficit di questa vitamina causa l’ipertrofia della tiroide, riducendo la captazione dello iodio da parte di questa ghiandola e rallentando la produzione degli ormoni tiroidei.

Anche la carenza di ferro  può influenzare il funzionamento della tiroide inibendo il legame della T3 con i recettori epatici che stimolano l’attività della perossidasi.

 

Il gozzo tiroideo

Con il termine gozzo (o struma) viene  indicato l’aumento di peso e volume della tiroide. Si manifesta con un rigonfiamento più o meno evidente e simmetrico del collo, e può riconoscere diverse cause, così come differenti sono le ripercussioni del gozzo sulla salute dell’individuo.

In passato, il gozzo era molto diffuso nelle aree soggette a carenza di iodio nell’acqua e negli alimenti; si parlava quindi di gozzo endemico per sottolineare l’entità modesta e circoscritta dell’epidemia. Come sappiamo in assenza di un’adeguata quantità di tale minerale, la tiroide non riesce a sintetizzare e rilasciare la tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3). Se la sintesi ormonale è insufficiente si assiste ad un aumento dell’ormone TSH o tireostimolante, secreto dall’ipofisi per stimolare la produzione di ormoni tiroidei; l’eccessiva secrezione di TSH a scopo compensatorio determina un aumento di volume della ghiandola tiroide, da cui il gozzo.

Per far fronte all’allarmante diffusione del gozzo endemico, in molti Paesi è stata introdotta la pratica di aggiungere iodio alla farina, all’acqua o al sale da cucina, scelta che ha ridotto notevolmente l’incidenza del disturbo.

 

Dieta ed ipotiroidismo

Se l’ipotiroidismo è causato da carenze di iodio di tipo alimentare, può essere opportuno abbinare alla dieta l’utilizzo di sale iodato, ma questo deve essere fatto rigorosamente sotto consiglio medico. Tutto ciò non deve “autorizzare” ad un uso indiscriminato di sale degli alimenti per tutte le conseguenze patologiche che può comportare.

L’apporto di questo elemento può essere aumentato anche solo attraverso la dieta. Questo potrà essere fatto privilegiando alimenti ricchi di iodio, soprattutto nel pesce marino.

 

Tipo di pesce Contenuto di Iodio (μg/100g)
Cefalo 330
Platessa 190
Gamberetti 130
Merluzzo 120
Sgombro 75
Tonno 50
Sogliola 17

sardina

Esistono alcuni alimenti come le Brassicaceae (cavoli, broccoli, cavolfiori, rape, ravanelli), la soia, i semi di lino, il miglio e la tapioca che se vengono consumati specialmente crudi funzionano da “sequestratori” dello iodio. Questo fa aumentare il fabbisogno di questo elemento e per questo altera il corretto funzionamento del metabolismo. Tali cibi andrebbero pertanto consumati con moderazione, ma solo in caso di ipotiroidismo da carenza iodica.

Da alcuni anni sappiamo, che oltre al deficit di iodio, anche altri fattori ambientali, in particolare la carenza di selenio, possono contribuire all’insorgenza di ipotiroidismo. Mentre lo iodio è l’elemento fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei, il selenio gioca un ruolo fondamentale nel loro metabolismo. I cereali, la carne e soprattutto il pesce azzurro sono fonti importanti di selenio.

 

Spesso però la persona che è affetta da ipotiroidismo deve ricorrere ad una cura specifica con levotiroxina. In questo caso dovrà essere seguita una dieta che non interagisca in maniera determinante sulla terapia farmacologica. Il medico indicherà quando assumere la cura indicando eventuali interazioni con alcuni nutrienti. Nel caso specifico un eccesso di fibra può diminuire l’assorbimento del medicinale e sarebbe quindi necessario rivolgersi ad una figura esperta che possa determinare il giusto quantitativo di fibra giornaliero.

 

Alimentazione consigliabile

Il paziente che sta effettuando una cura dovrà eseguire una dieta sana, spesso ipocalorica in caso di obesità o sovrappeso. Si consiglia di non eccedere nel consumo di carboidrati, di formaggi stagionati, insaccati, dolci, prodotti confezionati e carni grasse.

E’ consigliabile consumare pesce almeno 2 volte alla settimana, mentre la carne dovrà essere consumata non più di 2-3 volte la settimana e dovrà essere prevalentemente bianca. Le proteine animali potranno essere sostituite almeno 2 volte alla settimana con i legumi (fagioli, ceci, lenticchie), prestando molta attenzione a quando dobbiamo effettuare la terapia farmacologica (per l’effetto della fibra idrosolubile).

E consigliabile consumare almeno 2-3 porzioni giornaliere di frutta e verdura, limitando l’utilizzo delle brassicaceae, da consumare prevalentemente cotte e lontano dalla terapia farmacologica e preferibilmente non tutti i giorni.

Limitare l’utilizzo di vino, birra ed altri alcolici per la quantità di zuccheri e alcol che contengono.

Consumare non più di 2 uova alla settimana. Consumare formaggi con moderazione preferendo quelli freschi. Consumare affettati sporadicamente preferendo il prosciutto dolce e la bresaola.

Infine bere acqua fuori dai pasti (cercare di berne almeno un litro) perché un metabolismo non può funzionare bene senza la giusta “matrice”.

 

Dott. Simone Rizzuto -Biologo Nutrizionista

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A proposito di cavoli……

Cavoli, crucifere o Brassicaceae rappresentano una famiglia di vegetali distribuite in tutti i continenti e coltivate a qualsiasi tipo di clima.
Il cavolo (Brassica oleracea) è conosciuto sin dall’antichità; era considerato sacro dai Greci mentre i romani lo utilizzavano per curare diverse malattie, mangiandolo crudo, prima dei banchetti, per aiutare l’organismo ad assorbire meglio l’alcool. Si parla quindi di uno dei primi alimenti considerati come “nutraceutico”.
Plinio (IV secolo a.c.) cita il cavolo broccolo come elemento fondamentale sulla tavola dei romani più abbienti, e contemporaneamente alcune testimonianze darebbero il cavolo coltivato in Spagna dagli arabi, che lo introdussero dalla Siria attorno al XII secolo.
Dopo la scoperta dell’America iniziò l’epoca dei viaggi navali su lunghe distanze. In queste circostanze molti navigatori si ammalavano di scorbuto, perchè navigando per lunghi periodi senza toccare terra e non avendo a disposizione cibi freschi, registravano carenze di vitamina C. La grossa scorta a bordo di agrumi e cavoli freschi (reperibili anche nei paesi del nord) permetteva così di poter fare viaggi di molte settimane senza ammalarsi. Ulteriori conferme arrivarono dal capitano Cook quando dopo tre anni di navigazioni effettuate in ogni angolo del pianeta, non perse nessuno dei suoi 118 uomini, in quanto faceva mangiare loro cavoli cotti o crudi.
Nel 1500 la pianta di cavolo veniva utilizzato come lassativo, mentre durante il 1600 il brodo di cavolo era raccomandato in tutte le affezioni polmonari.
Sempre grazie alle scorte di cavoli divennero possibili nel 1700 e nel 1800 le campagne di mesi di pesca in mare aperto delle navi baleniere.
La letteratura medica del secolo scorso testimonia che il cavolo veniva utilizzato per guarire raffreddori, catarri, laringiti, ma anche per curare la pleurite ed i reumatismi.
Nei mercati inglesi e francesi il cavolo veniva commercializzato già nel 1600 e dall’Inghilterra fu portato in India all’inizio del 1800.
In Italia invece il cavolo fu probabilmente importato dai veneziani, che lo acquistavano nell’isola di Cipro, e proprio attorno a Venezia, riseminando i semi delle piante più belle. Cominciò IN tutta Europa il miglioramento genetico di questa pianta, che solo successivamente venne esportata e coltivata nel Centro e a Nord del continente. Ad Arezzo, in un quadro, viene raffigurato un grosso cavolfiore offerto per stima e sudditanza al signore Cosimo III, nel 1706.

Bartolomeo Bimbi, Cavolfiore del canonico Venuti e ramolaccio (olio su tela, 1706)

Bartolomeo Bimbi, Cavolfiore del canonico Venuti e ramolaccio (olio su tela, 1706)

Le varietà principali delle brassicaceae

1) Cavolfiore

Il  cavolfiore è il fiore commestibile di Brassica oleracea L., varietà botrytis, appartenente lla famiglia delle Crucifere. Sulla penisola italiana vengono coltivate diverse varietà di cavolfiore (precoci e tardive) che ne determinano la diversificazione e la rispettiva nomenclatura volgare; le principali sono: cavolfiore Gigante di Napoli, cavolfiore Tardivo di Fano, cavolfiore Romanesco e cavolfiore Violetto di Catania. Il cavolfiore è un ortaggio da mangiare fresco per molti mesi all’anno (anche grazie alle diverse varietà); inoltre, coltivandoli e volendone distribuire il consumo, è possibile conservarlo mediante surgelazione (a cotto o a crudo), sott’olio o sott’aceto.

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Brassica oleracea L., varietà botrytis

2) Broccoli

I broccoli sono fiori commestibili della pianta erbacea Brassica oleracea L., varietà italica, appartenente alla famiglia delle Crucifere.
Vengono seminati in Maggio/Giugno e la raccolta si ha da Giugno fino ad Ottobre. Sono originari dell’Asia minore, ma vengono coltivati sin dall’antichità in Grecia e in Italia, diventando una pietanza tipica del meridione.

Brassica oleracea L., varietà italica

3) Cavolo cappuccio e cavolo verza

Il cavolo cappuccio (noto come capitata) e il cavolo verza (noto come sabauda) sono due sottospecie di Brassica oleracea L. Cavolo cappuccio e cavolo verza
Entrambi possono essere classificati in base al momento di raccolta; ne esistono di precoci, estivi e tardivi, anche se, dal punto di vista dietetico, come la maggior parte delle Brassica oleracea L. costituiscono un ortaggio dal consumo tipicamente invernale.

Cavolo cappuccio

 4) Cavoli di Bruxelles

I cavoletti di Bruxelles sono germogli commestibili della pianta erbacea Brassica oleracea L., varietà gemmifera. A differenza del cavolfiore e del broccolo, i cavoletti di Bruxelles costituiscono i germogli (di colore verde chiaro) e non il fiore della pianta. A differenza del cavolo cappuccio e verza, i cavolini di Bruxelles producono numerosi (fino a 40 per volta) e piccoli germogli (ottimi quando raggiungono circa 3 cm di diametro), ma non un unico grosso germoglio centrale. Sono coltivati soprattutto nel Nord Europa e si devono considerare un ortaggio prevalentemente invernale.

Cavolo e proprietà nutrizionali

Il cavolo ha un importante contenuto vitaminico pro-vitamina e vitamina A, vitamine B1, B2, B9 (acido folico), PP, C, K, U. I minerali contenuti in questo ortaggio sono fosforo, calcio, ferro, zolfo, potassio, rame, magnesio, iodio, e arsenico. La sua fibra idrosolubile è ottima per la cura delle coliti ulcerose, mentre la significativa percentuale di clorofilla aiuta l’organismo nella produzione di emoglobina contrastando così le varie forme di anemia. Da sottolineare, in cavoli e broccoli, la presenza di antiossidanti e di isotiocianati ed indoli che si formano quando le pareti cellulari di questi vegetali vengono spezzate o dal taglio del coltello o dalla masticazione.

Composizione chimica valore per 100g
Parte edibile (%): 93
Acqua (g): 92.2
Proteine (g): 2.1
Lipidi(g): 0.1
Colesterolo (mg): 0
Carboidrati disponibili (g): 2.5
Amido (g): 0
Zuccheri solubili (g): 2.5
Fibra totale (g): 2.6
Fibra solubile (g): 0.32
Fibra insolubile (g): 2.26
Alcol (g): 0
Energia (kcal): 19
Energia (kJ): 78
Sodio (mg): 23
Potassio (mg): 260
Ferro (mg): 1.1
Calcio (mg): 60
Fosforo (mg): 29
Magnesio (mg):
Zinco (mg):
Rame (mg):
Selenio (µg):
Tiamina (mg): 0.06
Riboflavina (mg): 0.04
Niacina (mg): 0.6
Vitamina A retinolo eq. (µg): 19
Vitamina C (mg): 47
Vitamina E (mg):
 DATI RICAVATI DAL DATABASE DELL'INRAN
 Proprietà benefiche dei cavoli
Sembra che i cavoli siano implicati nel prevenire i danni da stress ossidativo ( Riso et al., Nutrition and Cancer 61: 232-7, 2009). Si è visto come  il sulforafano porterebbe un miglioramento nei parametri di danno ossidativo a livello di DNA; miglioramento che risultava particolarmente evidente anche nei soggetti fumatori. Da questo si potrebbe concludere che l’assunzione giornaliera di isotiocianati provenienti da brassicacee, eserciterebbe un importante effetto di protezione contro lo stress ossidativo associato a vari fattori di rischio (inquinamento, fumo di sigaretta, cibo etc…)
Già dagli anni ’60 si pensa che gli istocianati siano implicati nella prevenzione dei tumori (Sasaki J. Nara Med. Assoc. 14: 101-115, 1963). Nei primi anni ’90 Zhang e Talalay proposero che gli isotiocianati esplicassero la loro azione antitumorale mediante inibizione della formazione di addotti al DNA, inibizione di isoforme di CYP450 (enzima di fase 1 coinvolto nella bioattivazione di sostanze cancerogene) ed induzione di enzimi detossificanti ed antiossidanti (Zhang and Talalay, Cancer Research 54: 1976-1981, 1994).
Mangiare brassicacee potrebbe migliorre i danni causati dal diabete ai vasi sanguigni del cuore. Sembra che il sulforafano stimoli la produzione di enzimi che proteggono i vasi sanguigni e riduca le molecole che causano danno cellulare. I pazienti diabetici hanno un rischio cinque volte maggiore rispetto alle persone sane di sviluppare malattie coronariche, a causa dei danni causati ai vasi sanguigni.  Il sulforafano sarebbe in grado di ridurre notevolmente i radicali liberi che a causa dell’iperglicemia possono causare danno cellulare. Inoltre sembra che questa molecola attivi una proteina chiamata nrf2, che protegge cellule e tessuti dai danni stimolando a sua volta gli enzimi antiossidanti e detossificanti (Xue et al, Diabetes 57:2809-17, 2008).
Detto questo, visto che siamo nella stagione dei cavoli dobbiamo approfittare di questa eccezionale risorsa. Consumiamoli cotti o crudi almeno 2-3 volte alla settimana per favorire della fibra, degli elementi minerali e delle sostanze attive contenute in questo alimento considerato da sempre un vero e proprio “nutraceutico”.
Dott. Simone Rizzuto – Biologo Nutrizionista
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Ripartire con l’autunno

zucca

L’autunno è la stagione in cui tutto si prepara a raggiungere uno stato di quiete: gli alberi perdono le foglie, le giornate accorciano e gli animali raggiungono il letargo.

Penso che a tutti sia capitato di accumulare qualche chilo dopo i mesi estivi (soprattutto dopo le vacanze) e di passare un periodo in cui il peso rimane costante, senza riuscire a perdere quello che abbiamo acquisito. Molte persone mi confidano di mangiare meno di quanto hanno fatto durante la stagione estiva e di aver ricominciato a fare attività fisica, ma nonostante tutto di non riuscire a perdere neanche un etto. Sembra quasi che il loro corpo si sia adeguato al “letargo” autunnale!

In realtà dietro a questo fenomeno si celano una serie di comportamenti sbagliati e falsi miti che devono essere corretti ed analizzati. Vediamo quali sono i fattori scatenanti che ci hanno portato a raggiungere un determinato peso e quali accorgimenti sono utili a perdere nuovamente quei chili presi durante l’estate

  1. Mantenere sotto controllo il proprio peso, fornendo il giusto introito calorico.

E’ necessario monitorare il nostro peso corporeo non più di una volta alla settimana; un controllo più frequente potrebbe essere dovuto a vari fattori non strettamente correlati ad un reale aumento o perdita di peso.

E’ utile seguire un piano nutrizionale adeguato alle nostre esigenze, che si adatti bene ai nostri impegni lavorativi e ai nostri gusti in fatto di cibo. Per fare questo non è opportuno ricorrere alle diete “fai da te” molto pubblicizzate sui media, ma sarebbe consigliabile seguire un regime nutrizionale ben bilanciato, magari rivolgendosi a qualche professionista che opera nel campo della nutrizione.

  1. Bilanciare i giusti nutrienti durante la giornata distribuendoli in almeno 5 pasti quotidiani.

 La maggior parte delle persone con cui parlo effettuano solo 3 pasti durante la giornata (quando non saltano la colazione!). Gli spuntini mattinieri e pomeridiani sono fondamentali perché garantiscono regolarmente il giusto apporto di nutrienti, evitando i periodi di “digiuno” che portano ad un catabolismo (degradazione) delle proteine. Va sempre ricordato, che in condizioni di stress, il nostro metabolismo si procura l’energia “distruggendo” le proteine e non bruciando i grassi. Quindi, chi svolge un’attività fisica intensa, è opportuno che assuma il giusto introito di proteine e carboidrati.

I nutrienti devono essere distribuiti in modo da seguire il nostro profilo enzimatico durante la giornata. Non è corretto fare una semplice conta delle calorie, ma analizzare la tipologia dei nutrienti contenuti all’interno di un alimento.

Esempio

150 g di sgombro = 155 Kcal

150 g di gelato confezionato al cacao = 156,5 Kcal

Come si osserva dall’esempio la solita quantità di gelato e di sgombro apportano le stesse calorie, ma quello che cambia è la natura di queste calorie. Infatti nel gelato provengono principalmente da zuccheri semplici, mentre nel pesce provengono da acidi grassi polinsaturi.

  1. Evitare di assumere alimenti ricchi di carboidrati semplici da soli, inserendoli invece in pasti misti, o comunque in associazione con la fibra alimentare (che ne riduce o rallenta l’assorbimento).

 E’ opportuno scegliere alimenti ricchi di carboidrati complessi fra quelli che provocano un minor innalzamento dei tassi di glucosio ed insulina nel sangue nel breve periodo. Per questo è consigliabile valutare l’indice glicemico di un alimento ovvero la capacità di un determinato glucide di alzare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento che è il glucosio puro. Sappiamo infatti che fibra, grassi e proteine introdotti in un pasto modificano l’assorbimento dei carboidrati o la loro capacità di stimolazione pancreatica, con conseguente minor innalzamento glicemico, rispetto a quello che si avrebbe se la stessa quantità di carboidrati fosse assunta isolatamente. Per questo ritengo che non sia opportuno consumare molti caffè zuccherati durante la giornata, consumare molte caramelle o bere bevande zuccherate soprattutto fuori dai pasti.

La frutta è composta da zuccheri semplici (prevalentemente fruttosio), ma può essere consumata durante gli spuntini perché ricca di fibra alimentare. Inoltre il fruttosio è uno zucchero che per essere metabolizzato deve essere convertito in glucosio e richiede quindi più tempo per aumentare il picco dell’insulina.

  1. Assumere la giusta quantità di proteine, privilegiando prevalentemente il pesce ed i legumi

 Il pesce rappresenta un alimento fondamentale per l’alimentazione umana. E’ più digeribile della carne suina e bovina perché presenta una minor quantità di collagene.

La caratteristica fondamentale del pesce la sua composizione in acidi polinsaturi “essenziali” (acido linoleico e linolenico) e dei derivati dell’acido α-linolenico presenti in buona percentuale nel pesce azzurro, nelle trote e nei salmonidi. L’assunzione abituale di elevate quantità di pesce (almeno tre porzioni settimanali da 100-150 g) sembra sia sufficiente ad abbassare il livello di alcune frazioni lipidiche nel sangue, quali trigliceridi e in misura minore il colesterolo totale e il colesterolo LDL, tutti responsabili dell’aumento del “rischio coronarico”.

I legumi costituiscono una fonte di proteine a medio valore biologico oltre ad avere una buona componente di fibra idrosolubile e di amido. Se vengono abbinati ai cereali (grano, farro, orzo, miglio etc.) possono rappresentare un pasto completo e ben bilanciato. Quindi i legumi sono un buon sostituto della carne e dovrebbero essere consumati almeno 2-3 volte alla settimana.

  1. Utilizzare un’ampia varietà di alimenti ed utilizzare tecniche di preparazione sane che mantengano le proprietà nutrizionali iniziali di un determinato elemento.

I diversi tipi di alimenti sono caratterizzati da diversi tipi nutrienti (carboidrati, lipidi, proteine, vitamine etc.). E’ capibile quindi come una dieta poco variata non garantisca il giusto apporto di tutti quegli elementi necessari a garantire una corretta omeostasi cellulare. Per assicurarsi un apporto corretto di tutti i principi alimentari, soprattutto di minerali e vitamine, è dunque indispensabile variare e alternare, con sistematicità, la scelta degli alimenti: solo così potremo essere sicuri di introdurre tutti i nutrienti con sufficiente regolarità ed in quantità adeguate.

L’abitudine a una dieta variata riduce anche i rischi dovuti all’introduzione di sostanze potenzialmente tossiche che possono trovarsi in alcuni cibi, generate ad esempio durante la lavorazione alimentare industriale.

Infine è opportuno alternare anche i metodi di cottura per garantire una maggior appetibilità degli alimenti ed evitare che l’accumulo di sostanze poco digeribili o tossiche che possono provenire da un determinato sistema di cottura.

  1. Limitare l’utilizzo del sale da cucina

 L’ingestione di elevate quantità di sodio può causare ipertensione in soggetti predisposti.

Il sale (cloruro di sodio) favorisce gli edemi, i gonfiori periferici dovuti alla ritenzione di acqua. Inoltre, indipendentemente dall’ipertensione, il sale può rappresentare un fattore di rischio per patologie come ictus, ipertrofia cardiaca, osteoporosi ed inoltre può facilitare la calcolosi renale, aggravando l’evoluzione delle malattie renali. Infine il sodio può cristallizzare in acido urico e provocare patologie a carico delle articolazioni come artrite e gotta.

E’ consigliabile quindi sostituire il sale con erbe o spezie che servano ad insaporire le nostre pietanze. Non scordiamoci di evitare affettati e snacks confezionati spesso ricchi di cloruro di sodio come patatine, crackers salati, biscotti etc.

E da ricordare che la ritenzione idrica può essere generata da un consumo eccessivo di sodio e da una non corretta idratazione. Quindi se ne soffrite dovete correggere il vostro stile alimentare.

  1. Bere molta acqua

 Il nostro corpo dovrebbe essere composto dal 60-70% di acqua. L’acqua è la matrice delle cellule ed è il veicolo per gli scambi salini. Svolge un ruolo fondamentale per la termoregolazione perchè il sangue è composto dal 55% di acqua.

Parte dell’acqua presente nel nostro corpo viene prodotta dal nostro metabolismo (acqua metabolica), ma una buona parte viene ingerita come tale o attraverso gli alimenti. Tutti questi fattori contribuiscono alla nostra idratazione, fondamentale per un buon funzionamento del nostro metabolismo.

E’ importante cercare di bere regolarmente durante la giornata e preferibilmente un’acqua ricca di sali minerali ,salvo complicazioni che richiedono indicazioni diverse.

L’acqua può rappresentare una buona fonte di calcio e quindi bere quotidianamente un tipo ricca di questo oligominerale potrebbe funzionare come “integratore” di questo importantissimo nutriente.

  1. Limitare l’utilizzo degli alcolici

 Un eccesso di alcolici può far lavorare incessantemente il fegato. Sappiamo che l’alcol etilico viene metabolizzato in aldeide formica, composto velenoso per le cellule epatiche. Inoltre l’eccesso di alcol può essere immagazzinato come trigliceridi e causare steatosi epatica (accumulo di grasso nel fegato). Questo fenomeno viene accentuato quando si consumano molti cocktails zuccherini che contengono anche notevoli quantità di zucchero.

Non scordiamo che l’alcol contribuisce in prima persona alla ritenzione idrica, all’ipertensione arteriosa e alla sintesi del colesterolo LDL (colesterolo cattivo).

E’ consigliabile quindi non bere più di un bicchiere di vino rosso ai pasti o eventualmente un bicchiere di birra da 33cl.

  1. Non abusare con gli aperitivi

 E’ da considerare che con un aperitivo si può arrivare ad ingerire fino a 600-700 kcal. Se pensiamo che questi poi possono essere seguiti da cene “importanti” e quindi capibile come questi possano essere un fattore favorevole per l’obesità.

Gli aperitivi spesso sono rappresentati d snack salati, appunto perché devono indurre a “bere” il consumatore. Non consideriamo poi che solitamente sono accompagnati da “bombe” alcoliche e soprattutto zuccherine.

L’aperitivo rappresenta un fenomeno di aggregazione sociale, non deve essere evitato, ma non deve essere fatto più di una volta alla settimana. E’ opportuno orientare le nostre scelte verso pasta o verdure in quantità limitate, magari accompagnate da vino rosso o prosecco. In questo modo l’introito calorico sarà moderato e l’aperitivo potrà anche essere seguito da una cena leggera.

    10. Cercare di consumare pasti di cui conosciamo la preparazione

 Il problema di molte persone è quello di essere costretti a mangiare spesso fuori casa.

Vengo consumate frequentemente panini, pizze o focacce perché pratici, “economici” e veloci da mangiare. Purtroppo una pasto completo è sicuramente meno economico e le pietanze che mangiamo nei punti di ristoro sono spesso molto condite e cucinate mediante l’utilizzo di sughi o soffritti.

Per ovviare a questi problemi possiamo prepararci delle insalatone ricche di verdure e con un componente proteico a scelta (formaggio fresco, tonno, uovo sodo etc.) che dobbiamo consumare in quella mezz’ora in cui ci fermiamo e stacchiamo dalla prima parte della giornata lavorativa. Un paio di volte alla settimana non è sbagliato consumare la pasta che possiamo acquistare presso un bar o ristorante, accertandosi che non sia cucinata con sughi eccessivamente grassi e magari accompagnandola con un’insalata. La pasta può essere alternata con un secondo che spesso troviamo già preparato con un contorno di verdure.

    11. Svolgere un’attività fisica regolare ed adeguata.

 Sono fermamente convinto che non esista un piano dietetico efficace se non accompagnato da una regolare attività fisica. Salvo particolari status o patologie, tutti dobbiamo svolgere un’attività fisica adeguata e regolare. Ricordiamo che l’attività fisica non conosce periodi o stagioni e dovrebbe essere praticata sempre.

Un regolare esercizio può essere efficace solo se abbinato ad un alimentazione bilanciata che permetta di fornire tutti i nutrienti necessari per svolgere al meglio l’attività in palestra o all’aria aperta.

Chi non ha tempo libero cerchi almeno di seguire le linee guida dell’INRAN che consigliano una mezz’ora di camminata tutti i giorni!

Cerchiamo quindi di riprenderci dopo i “bagordi” estivi, cercando di mettere in modo nella maniera più efficiente il nostro “complicato” metabolismo

Dott. Simone Rizzuto – Biologo nutrizionista

per info o contatti: simonerizzuto84@hotmail.it

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